Bodypositivity e chirurgia estetica

Hai mai pensato che il concetto di bodypositivity e chirurgia estetica possano avere un legame?

Siediti qui con me, ho una cosa importante da dirti. Una di quelle cose che fa tremare un po’ i polsi, perché tocca un nervo scoperto, un punto dove la mia battaglia per la bodypositivity si scontra con una scelta molto personale.

Forse lo sai già, il mio blog è la mia casa ed anche un po’ la tua, il luogo dove ti parlo senza filtri della mia disabilità, della mia gamba operata mille volte con l’ilizarov, delle mie cicatrici che indosso come medaglie.

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Ti ho sempre detto che il mio corpo, anche se fuori dai canoni, è casa mia. Che ho imparato ad amarlo, a vederci la bellezza.

La mia altezza, i miei 145 cm, la gamba destra più esile, tutto è diventato un’opportunità, come dico sempre:

Sono nata in un corpo che non segue i canoni della perfezione, ma con il tempo, ho scoperto come trasformare questa condizione in un’opportunità per ispirarti a fare altrettanto, trovando la bellezza in ogni caratteristica che definiamo imperfezione.

Ecco, ora devo raccontarti una cosa che ti potrebbe far dire: non sei stata onesta, Laura. Però prima di dirlo, ascolta o meglio, leggi ciò che ho da dire. Ricordati che questo è uno spazio sicuro dove il giudizio non esiste.

Una scelta personale

Veus Chibi (Laura) si guarda di profilo in uno specchio da bagno. Il suo iconico look con eyeliner, capelli neri e corporatura esile enfatizza l'autoaccettazione e la body positivity. La scena cattura un momento di riflessione sulla disabilità motoria e l'unicità del corpo.

Lo giuro, è vero. Non è una frase fatta, è il mio modo di vivere. Ho fatto pace con la mia storia fisica. Ho trasformato un difetto in un punto di forza visivo, con gli anfibi neri, i pantaloni neri, il blazer nero. La mia uniforme. La mia andatura imperfetta che non si può non notare.

E allora perché, mi chiedo e ti chiedo, perché c’era una cosa, una minuscola, maledetta cosa, che proprio non riuscivo a mandare giù? Una cosa che non c’entrava nulla con la mia disabilità, ma che mi faceva sentire… non me.

Parlo del mio naso. Quella gobetta proprio non piaceve e la mia testa mi diceva che la vedevano tutti. Quella cosa era di troppo e non c’entrava niente con l’inclusione o l’accettazione del diverso.

Oggi ti parlo del mio intervento di rinosettoplastica. Ma prima se ancora non mi conosci, leggi la mia storia.

LA MIA STORIA

Perché ho fatto la rinosettoplastica

Non so dirti nemmeno quando sia comparsa. Da bambina avevo uno splendido nasino a patatina, però credo ssi sia iniziata a formare durante l’adolescenza e in età adulta era lì, a miei occhi troppo evidente e fastidiosa.

Ogni volta che mi guardavo di profilo, ogni foto, ogni ripresa… quel brutto naso era lì. Non era un dramma, certo, non era un problema funzionale come la mia dismetria. Ma era un disagio estetico talmente radicato che riusciva a minare tutto il lavoro di autoaccettazione che avevo fatto. Un tarlo. Un sassolino nell’anima. Un dettaglio che mi rubava la serenità quando, su tutto il resto, avevo costruito un castello di roccia.

E qui arriva il punto cruciale, la domanda da un milione di dollari che voglio condividere con te: la Body Positivity è una prigione? Dobbiamo per forza tenerci tutto ciò che madre natura (o i traumi, o i geni) ci ha dato, anche se quel tutto ci fa stare male? Dove finisce l’accettazione e dove inizia il diritto al proprio benessere psicologico?

Per mesi, mi sono sentita in colpa. “Laura, tu promuovi l’amore per sé stessi, parli di non conformarsi ai canoni, e poi vai a rifarti il naso? Sei un’ipocrita? Stai tradendo tutto quello in cui credi?” Le voci nella mia testa erano una giuria feroce. Perché rifarsi il naso?

E forse, in tanti là fuori, stanno già pensando la stessa cosa.

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La bodypositivity è la libertà di essere sereni

Veus Chibi (Laura) si guarda di profilo in uno specchio da bagno con le mani sul nasino e la faccia insoddisfatta

Ma sai qual è la vera verità che ho scoperto? Che la vera body positivity non è una lista di regole. È la libertà di scelta. Libertà di accogliere una gamba corta, una cicatrice, un corpo che non è una taglia 40… ma anche libertà di togliere quel singolo elemento che ti impedisce di sentirti in pace.

A settembre 2020 mi sono sottoposta ad intervento di rinosettoplastica. L’ho fatto non per assomigliare a un ideale irraggiungibile. Mi sono operata perché stavo bene con tutto il resto di me. La mia corporatura esile, i miei occhi scuri con l’eyeliner, il mio anello nero… tutto mi piace. Tutto, tranne quel punto lì. Era una dissonanza. Era come avere una sinfonia perfetta e un violino che stonava sempre sullo stesso accordo.

Ho accettato la mia disabilità come un fatto della vita, come un cammino. La gobba sul naso, invece, era solo… una cosa che potevo risolvere per stare meglio, e ho scelto di farlo. Ho scelto di togliere quell’unico freno alla mia piena felicità e accettazione di me stessa. E lo rifarei mille volte.

L’autenticità sta nel benessere

Se c’è una cosa che voglio dirti oggi, uscendo dalla sala operatoria (metaforicamente, ovviamente!), è questa: non permettere a nessuno, nemmeno a un movimento sacro come la body positivity, di dirti cosa devi tenere e cosa devi lasciare del tuo corpo per essere autenticə. L’autenticità sta nel tuo benessere.

Se sei felice con il tuo corpo così com’è, bravə! Se c’è un dettaglio che ti consuma dentro e che puoi cambiare in sicurezza, fallo.

Il tuo valore non sta nella perfetta aderenza a un movimento, ma nella tua serenità. E a volte, per amare il 99% di te, devi solo lasciare andare l’1% che ti fa soffrire. Non è un tradimento. È una cura.

👉E tu, c’è qualcosa che proprio non riesci a far tuo? Un dettaglio che ti ruba il sonno? Hai mai pensato che l’amore per te stessə possa passare anche da una scelta così radicale? Ti leggo nei commenti, senza giudizio.

Qui ci diciamoci le cose come stanno, senza mezzi termini.

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