Wabi-Sabi: la bellezza dell’imperfezione

Sabato scorso mi sono concessa un brunch: una vera coccola all’Hygge. E non parlo solo delle uova strapazzate o del Pan au Chocolat, anche se, fidati, erano deliziosi.

Tavola imbandita brunch Hygge

L’Hygge non è solo un posto dove si mangia bene, è un’esperienza. Sai, quel posto è tutto giocato sull’accoglienza, e mentre ero lì, immersa in quell’atmosfera così calda e minimal al tempo stesso, mi sono ritrovata a riflettere su una cosa: noi siamo linguaggio!

Cavolo, quanto è meraviglioso avere a disposizione una singola parola per esprimere un concetto che altrimenti richiederebbe un pippone di mezz’ora?

Lì dentro, su una parete, hanno una mappa del mondo spettacolare, piena di piccole targhette. Su ognuna c’è una parola proveniente da una cultura diversa che esprime un concetto specifico, intraducibile con una sola parola nella nostra lingua. È stato un vero e proprio viaggio interculturale lì, tra una fetta di pane caldo e l’altra!

E mentre guardavo quelle parole sparse nella mappa del mondo, mi è scattato il loop narrativo, come sempre! Mi sono detta: “Ma se ogni cultura ha le sue parole magiche, esisterà un modo per dire con una sola parola il messaggio che porto avanti ogni giorno?

Alla ricerca della mia parola

Così dapprima un po’ imbarazzata mi sono alzata ad osservare e fotografare ognuna di quelle targhette, sempre più incuriosita da quello che i miei occhi stavano vedendo e anche forse speranzosa di trovare quella parola.

Ce ne erano tantissime e tutte super interessanti, ma siccome la mia parola non c’era e mi conosco, sapevo che non mi sarei accontentata.

Veus in stile giapponese

Intendo proprio una parola che esprimesse la sensazione che provo e che cerco di veicolare anche a te: la bellezza dell’imperfezione assoluta ed innegabile. E così, non appena ho messo piede fuori, la mia testa ha iniziato ad elaborare un piccolo progetto e la sera, una volta a casa, ho fatto quello che faccio sempre: ho tirato fuori il telefono e ho iniziato a cercare online.

Doveva esserci. Doveva esserci una parola che racchiudesse tutto il mio percorso, le mie cicatrici, la mia body positivity così onesta e senza filtri.

E indovina un po’? L’ho trovata. È lì che ho scoperto la mia parola. Quella parola è Wabi-Sabi (侘寂). E ti giuro, è come se i giapponesi mi avessero letto nel pensiero, distillando la mia intera esistenza in due sillabe.

Cosa significa Wabi-Sabi

Wabi-Sabi non è solo una parolina da mettere in una targhetta. Il Wabi-Sabi (侘寂) è una vera e propria visione del mondo che ribalta completamente la prospettiva: ti dice di lasciar perdere l’ossessione per la perfezione occidentale e di abbracciare tre realtà semplicissime, ma potentissime:

  1. Niente è perfetto
  2. Niente è eterno
  3. Niente è completo.

Ti sembra una cosa triste? Io ritengo che sia invece la liberazione più grande.💖

Trovare la bellezza dell’imperfezione

Veus emerge da una tazza riparata con la tecnica Kintsugi

Che origini ha la filosofia Wabi-Sabi? Il Wabi-Sabi ha le sue radici nel Buddismo Zen e si compone di due anime, che insieme creano una magia incredibile.

WABI (侘): la bellezza della semplicità. Il Wabi è l’umiltà, la modestia, la tranquillità. È la bellezza che trovi nelle cose semplici, non appariscenti, essenziali. Ti faccio un esempio subito per non andare per il sottile: per me, è la calma che si trova nella scelta di non uniformarsi ai canoni. Non cerco l’eccesso o la perfezione patinata. Il mio look total black, i miei anfibi, sono una scelta di semplicità austera che mi fa stare bene. È trovare la bellezza in quello che è sobrio e autentico, non in ciò che è vistoso o artefatto.

SABI (寂): il fascino delle cicatrici del tempo. Il Sabi è la parte che adoro di più, perché qui entra in gioco la nostra storia. Il Sabi è la bellezza che deriva dall’usura, dal passare degli anni e delle esperienze. È quando una cosa antica, sbiadita, consumata, non perde valore, ma lo acquisisce perché ha una storia da raccontare.

E qui vengo al punto, senza mezzi termini: il mio Sabi è rappresentato dalle mie cicatrici. I segni lasciati dalla metodica di Ilizarov sulla mia gamba, la mia malformazione…

Quelli non sono difetti da nascondere, ma il mio passato scolpito, un segno tangibile di tutta la strada che ho fatto. È la bellezza che trapela da una cosa che è vissuta, che è imperfetta agli occhi di chi insegue l’ideale di corpo da copertina, ma che è in realtà perfetta per quello che sono diventata io.

Disclaimer: io preferisco stare sotto la copertina soprattutto in autunno.

Guardarci con gli occhi del Wabi-Sabi

Per troppo tempo ci hanno fatto credere che bisogna essere perfetti per meritare un posto nel mondo. Quante volte ci siamo sentite sbagliati perché non eravamo abbastanza alti, abbastanza magri, abbastanza giovani? Non sentirsi abbastanza è molto facile nella nostra società.

Veus in piedi dipinta come un'opera di kintusgi

Ma il Wabi-Sabi ti sussurra: la tua unicità è la tua forza! In fin dei conti, questo concetto potentissimo racchiude la mia frase che ormai ci accompagna:

Sono nata in un corpo che non segue i canoni della perfezione, ma con il tempo, ho scoperto come trasformare questa condizione in un’opportunità per ispirarti a fare altrettanto, trovando la bellezza in ogni caratteristica che definiamo imperfezione.

Quando guardi le tue imperfezioni con gli occhi del Wabi-Sabi, smetti di combatterle. Ti rendi conto che i segni del tempo, le asimmetrie, le cicatrici, sono la tua mappa, la prova che sei forte e che sei qui. È il tuo vero, inestimabile valore.

👀Allora, che dici? Iniziamo a smetterla di cercare l’impossibile e a innamorarci del nostro Sabi? È ora di smetterla di scusarci per la nostra bellezza non convenzionale, non trovi?

📌Ti lascio a questa riflessione e se sei o capiti a Milano, ti straconsiglio di fare un salto per una colazione, pranzo o brunch all’Hygge Via Giuseppe Sapeto 3, Milano.

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